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Permesso di costruire: quando l’opera è difforme

Permesso di costruire: quando l'opera è difforme

Esiste un modo per valutare gli interventi effettuati rispetto al progetto approvato e la loro rilevanza urbanistica: la difformità urbanistica. Scopriamo insieme come.

Difformità urbanistica: cos’è

La Cassazione ha spiegato che la definizione di totale difformità urbanistica è contenuta nell’articolo 31 del Testo Unico dell’edilizia: “sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
 
La difformità totale può riguardare sia la costruzione di un corpo autonomo sia l’effettuazione di modificazioni con opere, anche soltanto interne, tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica. Si può inoltre avere difformità totale in caso di mutamento della destinazione d’uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto.

Un’opera realizzata in totale difformità dal permesso di costruire deve avere il requisito della “autonoma utilizzabilità”. Questo non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall’organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma può riguardare qualunque opera realizzata con una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato.
 
La difformità totale, hanno concluso i giudici, si verifica allorché si costruisca “aliud pro alio” e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.

Difformità urbanistica: il caso

I giudici si sono pronunciati sulla realizzazione di una serie di fabbricati che, secondo l’accusa, avevano un numero di piani maggiore di quello approvato. Il progetto di difformità urbanistica prevedeva dei piani interrati, che secondo i giudici possono essere considerati tali solo se situati al di sotto del piano di campagna. In pratica, invece, erano stati realizzati dei corpi di fabbrica ad una quota tale da essere considerati piani terra. Secondo il responsabile, questa percezione era dovuta al forte declivio del terreno.

La Cassazione ha dato torto al responsabile dell’intervento sottolineando che i corpi di fabbrica da un lato erano completamente fuori terra e dall’altro risultavano interrati mediante il riporto di terrapieni artificiali.

Un’altra irregolarità riguardava i locali sottotetto. Era stata presentata una Scia in cui si dichiarava la realizzazione di muri divisori. In realtà le partizioni erano tali da creare otto appartamenti che erano già stati dotati di tutti gli impianti tecnologici necessari. Alle opere sarebbe toccata la demolizione, poi revocata, mentre è stata confermata la pena della reclusione per il responsabile.